Corruzione per atti contrari ai doveri d’ufficio con l’aggravante del metodo e delle modalità mafiose e di accesso abusivo a sistemi informatici con l’aggravante del metodo e delle modalità mafiose. Sono le accuse che hanno portato all’arresto di Antonino Di Grazia, figlio di Orazio, detto Scarpa Pulita, esponente di spicco del clan Laudani con un ruolo apicale nel gruppo di Picanello, e detenuto nella Casa Circondariale di Giarre, e Carmen Palo, detto Carmelo, agente penitenziario in servizio nella stessa struttura.
Le misure cautelari
Ai due lo scorso 2 ottobre 2024, su delega della Procura della Repubblica, la Polizia di Stato di Catania ha dato esecuzione ad un’ordinanza di applicazione di misure cautelari del Giudice per le Indagini Preliminari presso il Tribunale di Catania. L’attività investigativa, partita da accordi in carcere per scommesse su partite di calcio truccate, ha inoltre permesso di far emergere l’intestazione fittizia del notissimo bar catanese denominato “Caffè Etna Srls”, noto in città con il nome storico di “Etna bar” e intestato a soggetti “di comodo”, al fine di eludere misure di prevenzione.
Le indagini
Il provvedimento restrittivo compendia gli esiti di un’attività di indagine, scaturita da alcune segnalazioni provenienti dalla Polizia Penitenziaria in servizio presso la menzionata Casa Circondariale, che avrebbe permesso di accertare come Antonino Di Grazia, sfruttando l’interesse di Carmen Palo per le scommesse sportive, gli avrebbe fornito di volta in volta notizie sui risultati di incontri di calcio di serie minori che, a suo dire, sarebbero state truccate per effetto di un accordo illecito sostenuto dalla famiglia mafiosa di appartenenza e gli prometteva il pagamento degli importi per sostenere le scommesse.
In cambio di tali favori, Carme Palo offriva la sua piena disponibilità a compiere atti contrari ai doveri d’ufficio in favore del detenuto Antonino Di Grazia , omettendo controlli e segnalazioni nei suoi confronti, fornendogli informazioni riservate anche acquisite tramite banche dati in uso esclusivo alle Forze dell’Ordine ovvero ritardando il deposito di rapporti disciplinari a carico del detenuto al fine di evitare conseguenze sull’imminente rilascio di permessi premio.
Il quadro e le accuse
In tale ambito, le indagini delineavano un quadro di totale asservimento della funzione pubblica esercitata dalla donana n agli interessi personali e privati del detenuto tanto che quest’ultimo prefigurava al pubblico ufficiale, una volta conclusa la sua detenzione, possibili affari illeciti in comune nonché gli prometteva la consegna di ingenti somme di denaro da custodire presso l’abitazione dell’agente penitenziario con la possibilità di utilizzarle.
In tale contesto, l’attività investigativa permetteva di far emergere l’intestazione fittizia del notissimo bar catanese denominato “Caffè Etna S.r.l.s.”, intestato a soggetti “di comodo”, al fine di eludere misure di prevenzione.
Il Giudice per le indagini preliminari, accogliendo la richiesta della Procura della Repubblica, ha quindi disposto nei confronti dei due indagati sopra menzionati l’applicazione della misura cautelare della custodia in carcere e inoltre il sequestro preventivo delle quote della “Caffè Etna S.r.l.s.” nonché del complesso aziendale, il cui valore – secondo le prime stime – potrebbe attestarsi intorno ai 600.000 euro, in relazione al delitto di trasferimento fraudolento di valori. La posizione del titolare “di fatto” dell’esercizio commerciale è attualmente al vaglio del Giudice per le Indagini Preliminari.
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