Torna a farsi ‘sentire’ l’Etna. Come segnala l’Istituto Nazionale di Geofisica e Vulcanologia-Osservatorio Etneo (Ingv-Oe), una nuova attività stromboliana è presente dal cratere di Sud-Est del Vulcano.
Il fenomeno è stato rilevato a partire dalle 17.10 di ieri.
Dal punto di vista sismico, prosegue il graduale aumento dell’ampiezza del tremore dei condotti magnetici interni del vulcano attivo, che ricordiamo, è il più alto d’Europa. E’ stato osservato anche un incremento dell’attività infrasonica. Il fenomeno interessa, al momento, la zona sommitale dell’Etna.
L’aeroporto di Catania è pienamente operativo.
Un evento parossistico sull’Etna, in eruzione, si era verificato il 23 ottobre scorso con una fontana di lava, accompagnata da violenti boati ed emissione di cenere vulcanica. Si era trattato del 52esimo parossismo da quando è iniziata la serie di questi episodi, il 16 febbraio 2021.
La colonna eruttiva si era alzata fino a circa 10 chilometri ed era stata orientata dal vento verso est-nordest. Segnalazioni di ricaduta di materiale piroclastico erano arrivate da diversi paesi etnei, come Piedimonte e Linguaglossa, ma anche a Mascali. ‘Pioggia’ di cenere era stata segnalata anche nel territorio turistico di Taormina. Ceneri e lapilli anche su un tratto dell’autostrada Catania-Messina.
Nel periodo che va dal 13 dicembre 2020 al 31 marzo 2021 l’Etna ha eruttato circa 60 milioni di metri cubi di magma soprattutto attraverso fontane di lava particolarmente energetiche. Considerando il volume del materiale vulcanico accumulato nel tempo e quello eruttato nei quattro mesi, si evince che le fontane di lava possono rappresentare un’efficace modalità di emissione di magma in grado di sostituirsi alle più pericolose e tradizionali eruzioni effusive sul fianco del vulcano.
Lo rende noto lo studio “Magma Migration at Shallower Levels and Lava Fountains Sequence as Revealed by Borehole Dilatometers on Etna Volcano” realizzato a cura di un team di ricercatori dell’Istituto Nazionale di Geofisica e Vulcanologia – INGV e recentemente pubblicato sulla rivista ‘Frontiers in Earth Sciences’.
“Inoltre, il rilevamento di micro deformazioni dell’edificio vulcanico – spiega la nota dell’istituto di vulcanologia – ha consentito di individuare dei segnali precursori che anticipano il verificarsi di una sequenza eruttiva”.
“Nei vulcani a condotto aperto come l’Etna- spiega Alessandro Bonaccorso, vulcanologo INGV e primo autore dello studio – una sfida importante è quella di rilevare e interpretare le variazioni di energia anche ultra-piccole associate a eventi minori ma critici come le fontane di lava. Questo obiettivo è potenzialmente raggiungibile con registrazioni di deformazioni di estrema precisione (cosiddette strain) indotte nell’edificio vulcanico e rilevabili, anche a distanze di diversi chilometri dall’area craterica, dai dilatometri installati in perforazioni profonde a centinaia di metri di profondità. Nei quattro mesi considerati, la rete di dilatometri dell’INGV installata sull’Etna ha registrato precise variazioni”.
“In particolare-prosegue Bonaccorso – micro variazioni, osservate in corrispondenza degli sciami sismici avvenuti nel dicembre 2020, hanno permesso di evidenziare la migrazione di magma in superficie che ha anticipato l’inizio della sequenza eruttiva“.
Al di sotto della parte centrale dell’Etna sono presenti tre zone che ‘rallentano’ le onde sismiche determinandone un aumento dei tempi di percorso. E’ quanto ha scoperto, attraverso l’applicazione di una tecnica sismologica chiamata “Tomografia Sismica 4D’, un team di ricercatori dell’Ingv, che ha definito la struttura del vulcano, dai crateri sommitali fino a 10-12 chilometri di profondità.
Gli scienziati hanno interpretato queste anomalie come zone fratturate ad alta temperatura contenenti una percentuale di magma pari al 4% del volume complessivo, quantità che può alimentare l’attività eruttiva per diverso tempo. Lo studio, condotto con la sismicità dell’Etna verificatasi tra il gennaio 2019 e il febbraio 2021, è stato pubblicato sulla rivista Communications Earth & Environment.
“Dallo studio – osserva Pasquale De Gori, ricercatore dell’Ingv e primo autore della ricerca – è emerso che la zona profonda in cui le onde sismiche sono lente si trova sull’estremità di una zona caratterizzata, invece, da un’alta velocità delle onde, che rappresenta la parte di magma non eruttata e consolidata e che costituisce la traccia della vecchia attività dell’Etna nel corso della sua evoluzione geologica. Ipotizziamo – aggiunge – che il magma proveniente dalle parti più profonde della crosta giunga in questa prima zona di accumulo e che il nuovo magma crei una pressurizzazione del sistema innescando gran parte della sismicità che si osserva all’Etna tra 4 e 12 chilometri di profondità. Da queste profondità assistiamo a risalite magmatiche nelle zone di accumulo più superficiali, testimoniate dall’incremento della sismicità, che possono alimentare fasi eruttive come è accaduto negli ultimi mesi”.
(foto di repertorio)