Un avviso di garanzia è stato notificato a Torino dai carabinieri di una stazione locale ad Emilio Coveri, responsabile di Exit Italia, associazione che promuove il diritto all’eutanasia. Il provvedimento è stato spiccato dalla procura di Catania e riguarda il caso di Alessandra Giordano, una insegnate di 46 anni di Paternò, in provincia di Catania, deceduta lo scorso aprile in una clinica svizzera che pratica il suicidio assistito.
Coveri è indagato dalla Procura di Catania per istigazione al suicidio. La magistratura etnea gli ha fatto notificare, contestualmente, anche un invito a comparire. Dovrà presentarsi il prossimo 25 luglio in Procura a Catania per essere sentito dall’aggiunto Ignazio Fonzo e dal sostituto Angelo Brugaletta che col procuratore Carmelo Zuccaro sono titolari del fascicolo. Secondo l’accusa, l’associazione “tramite mail e telefonate” avrebbe “rafforzato la donna nella sua decisione di togliersi la vita”.
La Procura di Catania ad aprile 2019 aveva presentato ricorso al Tribunale del riesame, presieduto da Sebastiano Mignemi, in merito all’annullamento, disposto dal Gip, del sequestro dei beni dell’insegnante di Paternò che il 27 marzo ha fatto ricorso all’eutanasia in una clinica in Svizzera.
La donna, secondo quanto è stato ricostruito, aveva 46 anni e pativa una depressione e una nevralgia cronica, la sindrome di Eagle. E’ deceduta il 27 marzo in una struttura nei pressi di Zurigo riconducibile alla clinica Dignitas, che risulta in contatto con l’associazione Exit Italia.
La donna non era malata terminale, ma da tempo soffriva di una grave forma di depressione, per questo avrebbe deciso di mettere fine alla propria vita recandosi in Svizzera dove è permessa questa pratica. La Procura di Catania aveva a aperto un’inchiesta per istigazione al suicidio.
E i magistrati di Catania volevano chiarire la “qualità di socia” della donna dell’associazione svizzera che ha praticato l’eutanasia alla quale ha pagato 7.000 franchi, circa 6.200 euro, per assisterla nel suicidio. La Procura di Catania ha voluto fare luce sul fatto che la donna si era iscritta ad una associazione italiana che si occupa di pratiche finalizzate alla cosiddetta “morte dignitosa” con la quale sembra abbia avuto contatti telefonici, il cui ruolo di eventuale rafforzamento del proposito suicida è ancora da valutare in tutti i suoi aspetti”, così scriveva nel ricorso avanzato al Tribunale del riesame.
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