Era diventato un “Re” decaduto e se n’è andato in silenzio, ad aprile, tra l’indifferenza della gente che per nulla immaginava chi lui fosse.
E’ morto a 71 anni Angelo Epaminonda nato a Catania, ma salito agli onori della cronaca per la sua vita spericolata e criminale milanese dove per decenni è stato il referente della mafia etnea.
Figlio di uno scalpellino dell’antico corso e dunque a tutti gli effetti un “cursoto”, Angelino il Tebano giovanissimo lascia la sua città natale per la Brianza e si trasferisce a Cesano Maderno: minorenne irrequieto fa la spola tra la Lombardia e Catania e qui diviene in pochissimi anni uno dei punti fermi della mafia dei cursoti che si contrappone ai vecchi boss della città, legando con tanti criminali che hanno fatto la storia, tra questi Luigi Miano al secolo Jimmy.
Di lui le cronache ricordano che cambia spesso lavoro perché non riesce ad accettare le gerarchie e con lo stipendio da dipendente non può mantenere i suoi crescenti vizi: le donne, le carte e soprattutto la cocaina che in quegli anni invade le discoteche delle notti meneghine. Inizia così a bazzicare in alcuni locali e nei night del centro di Milano.
Prima le piccole truffe poi le rapine in banca finché entra nel giro del potente boss della Milano dell’epoca, Francis Turatello, al secolo faccia d’angelo, allora re indiscusso delle bische clandestine, che gli affida la gestione di alcune di esse. Inizia così – siamo a cavallo tra gli anni settanta e ottanta e a Milano si contano centinaia di morti ammazzati l’anno – la scalata di Angelino il Tebano che ben presto prende il posto di Turatello divenendo il nuovo referente lombardo della mafia catanese.
Epaminonda diventa uno dei capi indiscussi della malavita milanese: frequenta il “bel mondo” e offre “sniffate” e morte. Arrestato la prima volta nel 1980 per sequestro di persona, ma assolto per insufficienza di prove, fu rispedito in carcere accusato di essere il mandante dell’omicidio di Turatello. Da quel momento inizia il percorso inverso di Epaminonda che si pente: è il primo collaboratore di giustizia a Milano.
A fargli saltare il fosso, il magistrato milanese Francesco Di Maggio che annota tra le sue confessioni 17 omicidi in cui è stato complice su una lunga ricostruzione di 44 delitti. Il processo a Epaminonda, che fu il primo maxiprocesso a Milano, fu addirittura teatro di una sparatoria: il catanese Jimmy Miano sparò contro il presunto mandante dell’omicidio Turatello nell’aula bunker di San Vittore a Milano.
Tra le sue confessioni ha ammesso di aver gestito imponenti traffici di cocaina, in aggiunta al controllo del gioco d’azzardo e di alcuni casinò, ma ha sostenuto di non aver mai fatto vendere un solo grammo di eroina. Ai poliziotti che lo arrestarono Epaminonda fece i complimenti perché erano riusciti a scoprire la sua parola d’ordine e a pronunciarla in perfetto dialetto catanese.
Le sue rivelazioni hanno consentito ai magistrati milanesi di arrestare oltre cento persone. Poi è sparito nel nulla con una nuova identità e l’infamia di avere tradito la mafia. Siano nel 2007. Sino allo scorso mese di aprile quando un melanoma gli ha stroncato la vita nel suo letto di casa.
La notizia della sua morte in un documento del servizio centrale di protezione trasmesso alla Corte d’appello di Milano per giustificare la sua assenza in un processo. Finisce così la storia criminale di Angelino Epaminonda “il Tebano”, conosceva la bella vita, le debolezze umane e l’amarezza del tradimento, e per finire l’oblio dei grandi “Re” decaduti.
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