E’ stato arrestato il primario di cardiochirurgia del policlinico di Catania per corruzione. Si tratta di Carmelo Mignosa, 61 anni, su cui si adombra la pesante accusa di aver tentato di pilotare un appalto da ben 30 milioni di euro. Al centro dell’inchiesta portata avanti dalla guardia di finanza l’appalto per l’assegnazione della fornitura del materiale specialistico per cardiochirurgia destinato all’azienda ospedaliera universitaria del policlinico “Rodolico San Marco”. Agli arresti anche Valerio Fabiano, rappresentante legale di una società di prodotti medicali con sede nella provincia etnea, per l’ipotesi di “corruzione per l’esercizio delle funzioni o dei poteri conferiti”.
Poche indiscrezioni
Al momento non trapelano particolari che riguardano la delicatissima inchiesta che travolge i vertici della sanità Catanese. Intanto l’azienda ha già provveduto, in seguito all’arresto, a sospendere dal servizio da ogni attività il professore di cardiochirurgia. Le investigazioni, svolte dalle unità specializzate del nucleo di polizia economico finanziaria della finanza di Catania, hanno riguardato, in particolare, una procedura di gara che consta di 122 lotti, bandita dalla stessa azienda sanitaria per la fornitura di materiale specialistico di cardiochirurgia, in relazione alla quale il primario ricopriva anche il ruolo di presidente della commissione tecnica. Sin dalle prime fasi d’indagine, sono emersi una serie di contatti e incontri dello stesso primario con alcuni imprenditori, tutti interessati all’aggiudicazione di uno o più lotti di questa gara d’appalto, tra cui Fabiano.
La prova della corruzione
L’imprenditore, utilizzando particolari accorgimenti e cautele, ha lasciato una busta, contenente denaro contante, poco dopo riposta dal dirigente sanitario nel proprio zaino. A quel punto i finanzieri hanno effettuato un intervento d’iniziativa procedendo alle perquisizioni all’interno del policlinico e, a seguire, nell’abitazione del primario. Ad essere venuti fuori 2 mila euro all’interno della busta recuperata dallo zaino, nonché ulteriori 21.400 euro nell’appartamento del medico. Somme che sono ritenute provento della corruzione.
L’altro scandalo
Non è la prima volta che la sanità Catanese finisce al centro di uno scandalo. Nell’aprile scorso si è concluso con un patteggiamento di tutti e cinque gli imputati, oltre a quello della società coinvolta, il processo “Calipino” scaturito a Catania da un’inchiesta per turbata libertà degli incanti e corruzione su un appalto bandito dall’azienda Policlinico-Vittorio Emanuele. Il gup ha condannato a due anni di reclusione e a un anno di interdizione dai pubblici uffici dal contrattare con la pubblica amministrazione Giuseppe Morgia, all’epoca dei fatti primario di Urologia, e a un anno e sette mesi di reclusione e all’interdizione di dieci mesi Massimiliano Tirri, agente della ‘C.Bua’ srl di Bagheria che tratta la fornitura all’ingrosso di prodotti medicali. Condannato anche Pasquale Luchini a due anni di reclusione, Tommaso Castelli e Antonino di Marco a dieci mesi ciascuno. Alla società ‘C.Bua srl’ è stata comminata una sanzione di 18.200 euro.
Le indagini
Le indagini scaturirono dopo le denunce di ditte escluse dall’appalto da 55,4 milioni di euro in cui l’azienda policlinico era capofila dell’espletamento della procedura della gara per dispositivi urologici da assegnare a ospedali di Messina, Siracusa, Ragusa, Enna e Catania. Secondo la Procura “il prof. Morgia, pur non avendo alcun incarico formale, gestiva di fatto la gara, determinando le decisioni della commissione tecnica chiamata a formulare il suo parere su capitolati già preventivamente confezionati ‘su misura’ affinché l’assegnazione dei lotti più significativi avvenisse a favore delle società commerciali disposte ad assecondare le richieste di utilità avanzate dallo stesso Morgia”.
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