I finanzieri del Gico del Nucleo di Polizia Economico-Finanziaria di Caltanissetta, coordinati dalla Procura della Repubblica – Direzione Distrettuale Antimafia – di Caltanissetta, nel corso dell’operazione Camaleonte, hanno eseguito tre misure cautelari in carcere nei confronti di dei fratelli Francesco Antonio e Salvatore Luca, nonché del figlio di quest’ultimo, Rocco Luca, accusati di concorso esterno in associazione mafiosa.
Sono stati inoltre sottoposti alla misura cautelare del divieto di dimora nelle province di Caltanissetta e Ragusa per il reato di riciclaggio, Francesco Gallo, genero di Salvatore Luca e soggetto coinvolto nella gestione di alcune imprese riconducibili alla famiglia Luca, Concetta Lo Nigro, moglie di Salvatore Luca e rappresentante legale di diverse aziende riconducibili alla famiglia, Emanuela Lo Nigro, sorella di Concetta e prestanome della famiglia Luca, e Maria Assunta Luca, figlia di Salvatore e socia in molte aziende della famiglia.
Sono state inoltre sequestrate, tra Gela e Ragusa, sette aziende, nonché disponibilità finanziarie e beni immobili riconducibili all’impero economico e finanziario della famiglia Luca, per un totale complessivo stimato in 63 milioni di euro.
Le aziende sottoposte a sequestro sono le seguenti: Lucauto s.r.l., Car Luca s.r.l., Terranova Immobiliare s.r.l., Immobilluca s.r.l., Luca Immobiliare S.r.l, Luca Costruzioni s.r.l., Mirto S.r.l. I provvedimenti sono stati emessi dal gip.
L’indagine, partita nel giugno del 2014 a seguito di alcune dichiarazioni di collaboratori di giustizia, riguarda i noti imprenditori gelesi della famiglia Luca, i quali, negli anni, hanno sviluppato cointeressenze economico-finanziarie con esponenti mafiosi del clan Rinzivillo.
Le indagini fotografano oltre un ventennio di contiguità mafiosa, nel corso del quale si è registrato un anomalo e consistente sviluppo delle imprese riconducibili ai suddetti soggetti realizzatosi proprio grazie ai rapporti con esponenti di rilievo di cosa nostra.
Gli accertamenti economico patrimoniali, infatti, hanno dimostrato che parte dei capitali provenienti dalle attività criminali della famiglia Rinzivillo sono stati investiti in modo organico e stabile nelle aziende della famiglia Luca, permettendo così una compenetrazione dell’economia mafiosa con quella legale.
Occorre premettere che i primi contatti tra la famiglia Rinzivillo e i Luca risalgono alla fine degli anni ’90, allorquando esponenti del suddetto clan mafioso gelese avevano iniziato a consegnare agli imprenditori somme provenienti da attività delittuose, nell’ordine di un miliardo di vecchie lire, da riciclare attraverso le aziende di famiglia. Grazie a tali affari si sono concretizzati, nel tempo, sproporzionati investimenti immobiliari e nel settore del commercio di autovetture, che hanno permesso ai citati imprenditori di affermarsi come importante gruppo economico.
I contatti dei Luca con la criminalità organizzata negli anni si sono anche estesi ad alcune famiglie mafiose di Catania, quali i Mazzei (detti i Carcagnusi), i Carateddi ed i Santapaola.
Gli accertamenti bancari, eseguiti dal Gico di Caltanissetta nei confronti di tutti i componenti della famiglia Luca, hanno inoltre dimostrato plurime condotte di riciclaggio, riscontrando positivamente quanto emerso dalle fonti dichiarative. Significativi in tal senso alcuni indici sintomatici dell’attività di riciclaggio quali apporti anomali di denaro sui conti aziendali metodologia tipica del money laundering; operazioni finanziarie realizzate dopo svariate movimentazioni tra i numerosi rapporti bancari intestati alle persone fisiche e giuridiche rientranti nella sfera della famiglia Luca, al fine di ostacolarne l’identificazione delle relative provviste.
Le indagini hanno poi evidenziato che il “riciclaggio” di denaro è stato realizzato anche mediante l’acquisto, da parte dell’organizzazione criminale, di “scontrini vincenti” del gioco del lotto, così da ottenere fonti reddituali ufficiali e “pulite”.
I Luca hanno, pertanto, diversificato nel tempo le loro attività di riciclaggio, ricorrendo a più canali, tra cui, oltre a quelli già citati, anche l’investimento in “beni rifugio”, quali opere d’arte, cavalli, polizze vita e titoli di stato sottoscritti, tra l’altro, da prestanome per importi consistenti e sproporzionati rispetto al profilo reddituale dell’intestatario dell’investimento.
Nell’ambito delle indagini è emersa, altresì, la figura di un Primo Dirigente della Polizia di Stato, all’epoca dei fatti in servizio a Gela e successivamente a Caltanissetta e ad Agrigento, indagato nell’ambito del presente procedimento per corruzione, accesso abusivo a sistemi informatici in uso alla polizia e rivelazione di segreto d’ufficio.