Il 28 giugno era andata a denunciare per stalking l’ex che aveva già fatto condannare a 11 anni per violenze sessuali ripetute, lesioni e minacce di morte. Una richiesta d’aiuto quella di una romena di 33 anni raccolta dalla Procura generale di Caltanissetta che, ad aprile, aveva ottenuto la condanna dell’uomo.
Il pg Fabiola Furnari, ritenendo il romeno pericoloso, ha chiesto e ottenuto in tempi record l’aggravamento della misura cautelare per l’imputato che dagli arresti domiciliari è finito in carcere. La celerità dell’intervento non ha scongiurato il peggio: donna, 33enne romena, si è suicidata temendo il ripetersi delle violenze.
E’ accaduto a Riesi, paese della provincia di Caltanissetta. Il protagonista della vicenda è un 26enne Razvan Birzoi. La vittima era stata legata sentimentalmente a lui per qualche mese nel 2020. Un rapporto difficile e conflittuale sfociato in violenze sessuali e maltrattamenti.
La compagna l’aveva denunciato una prima volta ottenendo la condanna in primo grado a 11 anni, poi confermata in appello. Nel frattempo l’uomo aveva avuto i domiciliari. Pochi mesi dopo – l’ultima sentenza è di aprile – la nuova denuncia: la vittima aveva raccontato di nuove minacce e ne erano seguite una inchiesta della Procura e la richiesta di aggravamento della misura della Procura generale. Del caso dovrà occuparsi ora la Procura nissena che dovrà accertare se qualcosa nei controlli a cui il romeno era sottoposto, essendo ai domiciliari, non abbia funzionato.
“A questa povera ragazza suicida perché vessata da un mostro dobbiamo dare risposte. Innanzitutto capire come sia stato possibile ai domiciliari per il suo aguzzino continuare a perseguitarla e mi auguro che il ministro Nordio voglia fare luce sulla vicenda”. Lo dice in una nota Alfredo Antoniozzi vice capogruppo di Fratelli d’Italia alla Camera e membro della commissione antimafia. “È veramente una morte ché fa rabbia e ché poteva essere evitata” conclude.
Una violenza sessuale di gruppo avvenuta due anni prima e ripresa dagli aggressori sarebbe alla base del suicidio di Alice Schembri morta lanciandosi da una rupe dopo aver annunciato il suicidio sui social.
Compariranno il 4 ottobre davanti al gup di Palermo, Marco Gaeta, i due maggiorenni coinvolti nell’inchiesta sul suicidio della 17enne di Agrigento che, due anni prima di togliersi la vita, era stata costretta a subire rapporti sessuali di gruppo mentre venivano filmate le scene. La tragedia della ragazzina, il cui corpo venne trovato alla Rupe Atenea dove si era lanciata nel vuoto dopo avere annunciato il gesto con uno straziante post su facebook, approda in aula per l’udienza preliminare.
La squadra mobile, indagando sull’annunciato suicidio, avvenuto il 18 maggio 2017, dopo avere scartato alcune piste come quella delle sette sataniche, ha rintracciato alcuni video risalenti a due anni prima del suicidio, girati da quattro ragazzi, due dei quali, all’epoca, minorenni, che avrebbero, almeno in base all’atto di accusa dei pm di Palermo Luisa Bettiol e Giulia Amodeo, abusato delle sue condizioni di inferiorità fisica e psichica “legata al consumo di sostanze alcoliche”.