- Sequestro beni a due imprenditori di Canicattì
- Sono ritenuti vicini alla Stidda
- Per Antonio Di Maria Rosario Livatino rappresentava la pubblica accusa
Beni per un valore di 400mila euro sono stati sequestrati dal personale della sezione misure di Prevenzione patrimoniali della Questura di Agrigento ai fratelli Antonio e Giuseppe Maira, rispettivamente di 71 e 65 anni, di Canicattì.
Imprenditori ritenuti appartenenti alla Stidda
Antonio, sottolineano gli investigatori, è stato un personaggio di primo piano nel panorama criminale della provincia agrigentina: negli anni ’80 come appartenente alla “Stidda” subì diverse condanne, tra cui quella più pesante inflittagli in un processo dove la pubblica accusa era sostenuta dall’allora giovane Pm Rosario Livatino, il giudice proclamato Beato domenica scorsa dopo essere stato ucciso nel ’90 da quattro killer.
I pentiti legano la Stidda all’omicidio Livatino
Secondo diversi collaboratori di giustizia il giudice sarebbe stato assassinato proprio perché aveva inflitto forti condanne ad affiliati della “Stidda”, tra cui appunto Antonio Maira che era stato condannato dal Tribunale di Agrigento nel 1986 a 22 anni e mezzo di reclusione, pena poi ridotta in appello a 17 e sei mesi.
Precedenti sequestri beni per mafia in Sicilia
Il sequestro beni per presunta mafia precedente a quello odierno in Sicilia risale al 16 aprile quando i carabinieri del nucleo investigativo di Palermo hanno eseguito un provvedimento di sequestro per un milione di euro nei confronti degli eredi di Mario Marchese, morto il 14 aprile del 2016 e condannato al maxi processo
Il provvedimento è stato emesso dalla sezione misure di prevenzione del tribunale di Palermo.
Marchese, secondo le indagini dei carabinieri e come riportato nell’ordinanza cautelare, aveva assunto un ruolo direttivo nel mandamento mafioso di Villagrazia e Santa Maria di Gesù. Sono stati sequestrati due abitazione nella zona di Villagrazia, un distributore in via Oreto e il complesso di beni aziendali, e 4 rapporti bancari.
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