C’era un “patto” tra le faide opposte per il traffico di stupefacenti. Le tensioni si erano fatte talmente aspre che c’era pure chi andava in giro armato, pronto a sparare. E’ uno degli aspetti che emerge dall’operazione antidroga “Hybris”. La retata scattata all’alba di oggi principalmente nell’Agrigentino. A venire fuori i collegamenti dell’organizzazione criminale con le province di Catania e Caltanissetta.
I nomi
Le misure cautelari in carcere sono state disposta dal gip del tribunale di Palermo, su richiesta della Dda. Dietro le sbarre Michele Cavaleri, 45 anni; Antonietta Casaccio, 40 anni; Francesco Cavaleri, 42 anni; Marco Cavaleri, 37 anni; Paolo Cavallo, 52 anni; Luciano Orazio Curvà, 32 anni; Fabio Della Rossa, 37 anni; Giuseppe Domicoli, 33 anni; Calogero Forti, 32 anni; Gioacchino Giorgio, 36 anni; Angelo La Cognata, 37 anni; Concetta Maddalena Marino, 47 anni; Marco Marino, 33 anni; Giacomo Luca Marino di 48 anni.
Figurano inoltre: Antonio Milanese, 34 anni; Gioele Carmelo Musumeci, 40 anni; Michele Palma, 31 anni; Giuseppe Pasqualino, 31 anni; Nunzio Ratto, 45 anni; Giuseppe Sanfilippo, 45 anni; Ferdinando Roberto Serravalle, 26 anni; Lillo Serravalle, 50 anni; Angelo Sorriso, 25 anni; Fabrizio Truisi, 38 anni e Santo Vitale, 48 anni. Il Gip ha disposto l’obbligo di presentazione alla polizia giudiziaria per Ramona Marylin Cellura, licatese, di 38 anni. Dei 25 in carcere, 14 sono di Licata, uno di Canicattì, sei di Gela, due di Catania e due campani.
Due anni fa l’inizio dell’inchiesta
L’inchiesta antidroga Hybris avviata nell’ottobre del 2020. Esattamente nel momento in cui un indagato di Licata si era reso protagonista di due episodi. Uno accaduto a Licata e l’altro a Gela. Questo indagato utilizzava le armi perchè temeva delle aggressioni. Proprio con la famiglia del suo aggressore, il presunto capo dell’organizzazione licatese avrebbe avviato un “patto”, finalizzato alla commercializzazione di stupefacenti. La droga che scorreva in maggior quantità era la cocaina.
Le accortezze risultate vane
Gli investigatori hanno acquisito gravi indizi sul ruolo di ciascun componente dell’organizzazione, superando tutte le accortezze poste in essere dagli indagati. A cominciare dalla necessità di neutralizzare interventi ”a sorpresa” delle forze dell’ordine, attraverso le installazioni di numerosi impianti di videosorveglianza. Le telecamere piazzate nelle zone della base operativa dell’organizzazione. Per dialogare gli indagati usavano social network e messaggistica istantanea.
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