Proseguono le indagini sulla sparatoria e l’omicidio a Villaggio Mosè ad Agrigento. L’ordinanza il giudice per le indagini preliminari Giuseppe Miceli, pur non convalidando il provvedimento di fermo in assenza del requisito del pericolo di fuga, ha comunque disposto la custodia cautelare in carcere nei confronti dei tre indagati coinvolti nella sparatoria nella concessionaria di auto in cui ha perso la vita Roberto Di Falco, 37 anni, di Palma di Montechiaro.

L’inchiesta prosegue

L’inchiesta della procura di Agrigento, coordinata dal procuratore Giovanni Di Leo e dal sostituto Gaspare Bentivegna, regge al primo vaglio e prosegue. Il giudice Miceli, nel valutare gli elementi finora acquisiti, ricostruisce l’intera vicenda fissando così i primi importanti punti fermi in attesa di ulteriori e necessari accertamenti, a cominciare dall’autopsia che sarà eseguita nella giornata di oggi.

Il movente

Si parte dal movente. È chiaro che alla base dell’aggressione, sfociata poi in tragedia, ci siano motivi economici e, in particolare, un assegno scoperto di cinquemila euro utilizzato dal concessionario per acquistare un’auto da Angelo Di Falco, principale indagato e fratello della vittima.

Incerta la dinamica

Se la prima circostanza (il movente) appare ormai assodata, lo stesso non si può dire con certezza sulla dinamica di quanto accaduto subito dopo il pestaggio del titolare della concessionaria: la pistola, lo sparo e la morte di Roberto Di Falco.

Sul punto le dichiarazioni delle parti in causa sono diametralmente opposte: Zambuto afferma di essere riuscito a spostare la canna della pistola in direzione dell’aggressore prima che lo stesso sparasse; il fratello della vittima, invece, sostiene che ad avere la pistola in mano fosse proprio il commerciante. Le telecamere di sorveglianza dell’autosalone, fondamentali per la ricostruzione dell’accaduto, non riprendono il momento dello sparo.

L’ordinanza “La dinamica non si rileva dalla visione dei video”

Scrive il giudice come riporta Grandangolo: “La dinamica concreta su come e da chi sia stata esploso il colpo d’arma da fuoco, invero, non si rileva dalla visione dei video”. Il gip, sulla base di quanto finora acquisito, ha ritenuto la versione di Zambuto (e dei figli) la più credibile.

Il giudice, ribadendo “la necessità di ulteriori accertamenti scientifici sul punto”, spiega il perché elencando quelli che sono definiti “elementi logici che accreditano più la tesi di Zambuto che degli indagati”.

Un dettaglio rilevante, a parere del giudice, è la circostanza emersa da una prima ispezione cadaverica secondo cui l’unico colpo esploso avrebbe centrato il Di Falco a circa 10-15 centimetri sopra l’ombelico sull’addome sinistro con foro di uscita sopra il gluteo: la circostanza, in attesa dell’autopsia e di ulteriori accertamenti scientifici, lascerebbe pensare ad un colpo esploso quantomeno in maniera orizzontale “se non, addirittura, dall’alto verso il basso, ma, di certo non verso l’alto come, invece, dovrebbe verosimilmente essere più probabile se ad impugnare la pistola era proprio Zambuto, si ricordi, seduto in auto”.

Elementi logici

Il gip Miceli elenca poi ulteriori “elementi logici” che accrediterebbero la versione fornita da Zambuto rispetto a quella dei tre indagati.

“La circostanza che proprio costoro abbiano immediatamente chiamato le forze dell’ordine”. E ancora: “L’ulteriore circostanza per cui visione delle immagini nell’immediatezza è stata resa possibile proprio dalla collaborazione dei figli di Zambuto, i quali hanno mostrato sin da subito i video dei sistemi di sorveglianza del proprio smartphone. È del tutto illogico ed inverosimile pensare che, qualora ad impugnare la pistola fosse stato effettivamente Zambuto Calogero, i figli, oltre a pensare di allertare il numero di emergenza, avrebbero mostrato le immagini di video sorveglianza agli agenti della Squadra mobile con il rischio di fornire agli inquirenti prova diretta della responsabilità del padre, se non anche della loro”.

Al vaglio del giudice, infine, l’arma da fuoco: “La pistola, in ultimo, era in mano ad Angelo Di Falco e sarebbe un preciso interesse dell’indagato farla ritrovare al fine di fare emergere tale circostanza e le eventuali impronte dello Zambuto sull’impugnatura”.