E’ stata confermata dalla Cassazione la condanna a 30 anni di reclusione per Muhidin Elmi Mouhamud, il trafficante somalo riconosciuto da alcuni dei migranti sopravvissuti al naufragio avvenuto a Lampedusa il tre ottobre 2013 – una strage con 366 vittime – per aver fatto parte dell’organizzazione armata che sequestrò 130 eritrei nel deserto tra Sudan e Libia, sottoponendoli a trattamenti inumani, e facendoli imbarcare sulla nave poi affondata.
Nel verdetto depositato oggi – sentenza 40513, udienza del nove maggio – i supremi giudici hanno negato allo scafista le attenuanti della collaborazione dal momento che Elmi, sottolinea la Suprema Corte, non ha dato alcun aiuto alle indagini considerato che non
ha fornito i numeri dei cellulari degli altri complici e si è limitato a riconoscere in foto un soggetto già individuato.
“E’ lui, la sua faccia non la dimentico”, disse uno dei migranti scampati alle acque di Lampedusa. Sono state le testimonianze di sette eritrei sopravvissuti che hanno permesso agli inquirenti di risalire a Muhidin.
A suo carico non solo l’accusa di tratta di esseri umani e il favoreggiamento dell’immigrazione clandestina, ma anche la violenza sessuale nei confronti di venti donne eritree. I sopravvissuti hanno infatti raccontato di essere stati sequestrati nel deserto, e tenuti prigionieri in una casa fino a quando si sono fatti mandare dai familiari 3.000 dollari da pagare alla banda di sequestratori. Durante la prigionia sono stati torturati e le donne violentate. Poi sarebbero stati necessari altri 1.600 dollari per salire su motoscafi con i
quali avrebbero raggiunto il barcone destinato a naufragare.
Con la sua decisione, la Prima sezione penale della Cassazione ha reso definitivo il verdetto emesso il 14 aprile del 2016 dalla Corte di Assise di Appello di Palermo: anche in primo grado il somalo era stato condannato a 30 anni di carcere dalla Corte di Assise di Agrigento nel maggio del 2015.