Il boss Matteo Messina Denaro, arrestato il 16 gennaio dai carabinieri del Ros, ha rinunciato a comparire all’udienza preliminare nel procedimento che vede coinvolti padrini, gregari della mafia agrigentina e l’avvocata Angela Porcello.
La posizione del capomafia era stata stralciata perché Messina Denaro era latitante e in questi casi la legge prevede la sospensione del procedimento.
All’udienza di oggi, alla quale il boss avrebbe potuto partecipare in videoconferenza dal carcere de l’Aquila, a rappresentare l’accusa c’era il pm della Dda Claudio Camilleri.
Il processo in corso a Messina Denaro davanti al gup di Palermo, sospeso durante la sua latitanza, nasce da una indagine della Dda coordinata da Paolo Guido che portò a decine di arresti. Una tranche si è conclusa con condanne a pene comprese tra 10 mesi e 20 anni mafiosi di boss e professionisti agrigentini accusati a vario titolo di associazione mafiosa. Condannati anche un poliziotto e un agente penitenziario che rispondevano, rispettivamente, di accesso abusivo al sistema informatico e rivelazione di segreto d’ufficio. Il processo, è stato celebrato in abbreviato.
L’avvocata Angela Porcello, venne condannata a 15 anni e 4 mesi per associazione mafiosa. Secondo quanto ricostruito dai pm per due anni, nell’ufficio della penalista si sarebbero tenuti summit tra i vertici delle cosche agrigentine. Rassicurati dall’avvocato, i capi dei mandamenti di Canicattì, della famiglia di Ravanusa, Favara e Licata, Simone Castello, ex fedelissimo del boss Bernardo Provenzano e il nuovo capo della Stidda, l’ergastolano Antonio Gallea, a cui i magistrati avevano concesso la semilibertà, si ritrovavano nello studio della Porcello per discutere di affari e vicende legate a Cosa nostra.
Le centinaia di ore di intercettazione disposte nello studio penale dopo che, nel corso dell’inchiesta, i carabinieri hanno compreso la vera natura degli incontri, hanno consentito agli inquirenti di far luce sugli assetti dei clan, sulle dinamiche interne, di coglierne in diretta, dalla viva voce di mafiosi di tutta la Sicilia, storie ed evoluzioni.
Gli storici Ray Ban da sole a goccia che indossava Matteo Messina Denaro da ragazzo, una bottiglia di champagne e il libro “Facce da mafiosi”: sono le ultime scoperte fatte dai carabinieri di Trapani nel corso di una perquisizione nella casa della famiglia del capomafia, in via Alberto Mario a Castelvetrano.
Si tratta dell’ultima abitazione del boss prima dell’inizio della latitanza. Lì Messina Denaro viveva con la madre. In molte foto da giovane il padrino appare con gli occhiali da sole ritrovati.
Intanto si allunga la lista dei presunti fiancheggiatori del boss Matteo Messina Denaro finiti sotto indagine. Nel registro degli indagati sono stati iscritti Vincenzo e Antonio Luppino, figli di Giovanni, l’incensurato che ha accompagnato il capomafia alla clinica La Maddalena, dove entrambi, lunedì, sono stati arrestati.
I carabinieri hanno perquisito le abitazioni dei due Luppino: nell’appartamento di Vincenzo è stata trovata una sorta di stanza nascosta che stata perquisita ed è risultata vuota. Nei giorni scorsi in un’area recintata di proprietà dei Luppino la polizia ha trovato la Giulietta utilizzata dal boss per i suoi spostamenti.
Intanto viene fuori che Matteo Messina Denaro andava a fare compere nel supermercato vicino al suo ultimo covo. “Ricordo di una sagoma con un cappello che era nei corridoi e faceva la spesa. Ma con lui non ho avuto contatti”. Questa la testimonianza di uno dei sei dipendenti del punto ‘Coop’ di viale Risorgimento a Campobello di Mazara, dove l’allora latitante faceva la spesa.
Lunedì mattina i carabinieri hanno sequestrato l’intero hard-disk dove vengono registrare le immagini delle telecamere a circuito chiuso. Secondo quanto avrebbero accertato gli inquirenti, qualche giorno prima dell’arresto il boss sarebbe stato nel punto vendita per fare la spesa, acquistando poche cose. “Non siamo sicuri che il giorno in cui questo signore è entrato fosse sabato” ha detto il dipendente.