- Trentunesimo anniversario della morte del giudice Rosario Livatino
- Venne ucciso dai sicari della Stidda mentre si recava in tribunale
- E’ il primo magistrato proclamato beato nella storia della Chiesa
- A Canicattì il Festival della Legalità in sua memoria
Il 21 settembre del 1990 la mafia uccideva il giudice Rosario Livatino, proclamato Beato lo scorso 9 maggio nel corso di una commovente celebrazione tenutasi alla Cattedrale di Agrigento.
Il giudice “ragazzino”
Livatino, al momento della morte, da qui l’appellativo di “giudice ragazzino” aveva 37 anni. Durante il processo di beatificazione, iniziato nel luglio del 2011, la Chiesa ha raccolto molteplici testimonianze riguardo la vita di Livatino, vero uomo di fede e giudice coraggioso. Tra i suoi tanti scritti analizzati, è stata ritrovata una frase che è divenuta simbolo della sua abnegazione e della sua magnifica tempra e che è diventata una sorta di eredità morale: “Quando moriremo, nessuno ci verrà a chiedere quanto siamo stati credenti, ma credibili”.
Livatino, che la mattina, prima di recarsi al lavoro al Tribunale di Agrigento, entrava sempre in una vicina chiesa per una preghiera, era ben consapevole del rischio che correva, e nel ‘fastidio’ che stava arrecando alla criminalità organizzata locale, tuttavia non arretrò mai di un passo nella sua lotta alla mafia.
Oggi il giudice ragazzino è un esempio per tutti, anche per le nuove generazioni che non lo hanno conosciuto, tanto che, proprio a partire da oggi, in sua memoria, si tiene a Canicattì la seconda edizione del Festival della Legalità che per cinque giorni coinvolgerà giornalisti, magistrati e artisti con incontri, talk, workshop, teatro, musica e danza.
La lezione del giudice Livatino e la sua scelta di vita
Ieri sera, alla vigilia del XXXI anniversario dell’assassinio di Livatino, nell’ambito delle serate settembrine promosse dal Museo diocesano di Agrigento si è tenuta nella città dei templi una conversazione sulla figura del giudice beato a partire dal volume per ragazzi “Rosario Livatino. La lezione del giudice ragazzino” (Di Girolamo editore). Con gli autori, la giornalista Lilli Genco e l’arcivescovo metropolita Alessandro Damiano. Ad intervenire anche Felice Cavallaro, inviato del Corriere della Sera e direttore della Strada degli scrittori e Salvatore Nocera Bracco autore del lavoro teatrale “La mia scelta”.
Chi era Rosario Livatino
Sul sito internet dell’Arcidiocesi di Agrigento, è disponibile il profilo del giudice. Vi si legge: “Nato a Canicattì (AG) il 3 ottobre 1952 e compiuti gli studi di giurisprudenza nell’Università di Palermo (1975), ha prestato inizialmente servizio come vicedirettore presso l’Ufficio del Registro di Agrigento (1977-1978). Entrato in magistratura presso il Tribunale di Caltanissetta (1978), ha ricoperto la carica di sostituto procuratore presso il Tribunale di Agrigento (1979-1989) e successivamente quella di giudice a latere.
Nell’esercizio della professione, come nella vita personale, ha incarnato la beatitudine di “quelli che hanno fame e sete della giustizia” e che per essa “sono perseguitati” (Mt 5,6.10), mettendo pienamente a frutto il dettato conciliare sull’apostolato dei laici, sulla scorta dell’esperienza maturata in seno all’Azione Cattolica.
La preghiera costante e la quotidiana partecipazione al mistero eucaristico, insieme alla solida educazione cristiana ricevuta in famiglia e corroborata dalla meditazione assidua della Parola di Dio e del Magistero della Chiesa, hanno fatto di lui un autentico profeta della giustizia e un credibile testimone della fede, in un momento storico e in un contesto sociale tristemente segnati da una mentalità antievangelica e, sotto diversi aspetti, disumana e disumanizzante.
Con una coscienza profondamente libera dall’asservimento alle logiche umane e dai compromessi con i poteri forti di turno, caratterizzata da un’altissima levatura morale e da uno spiccato senso del dovere, si è consacrato “sub tutela Dei” a restituire dignità a un territorio ferito e offeso dalla mentalità e dalla prassi mafiose, annunciando il Vangelo attraverso la lotta all’ingiustizia, il contrasto della corruzione e la promozione del bene della persona e della comunità. A pochi giorni dal suo trentottesimo compleanno, ha infine sigillato il suo prezioso ministero con il martirio, avvenuto il 21 settembre 1990 per mano di locali cosche mafiose, mentre si recava a svolgere il suo lavoro in tribunale”.
L’omicidio
Livatino, primo magistrato beato nella storia della Chiesa cattolica, venne ucciso il 21 settembre 1990 sulla SS 640 Caltanissetta-Agrigento all’altezza del viadotto Gasena, mentre si recava, senza scorta, in tribunale, per mano di quattro sicari assoldati dalla Stidda agrigentina.
Il giudice viaggiava a bordo della sua vettura, una vecchia Ford Fiesta color amaranto, quando fu speronato dall’auto dei killer. Tentò disperatamente una fuga a piedi attraverso i campi limitrofi ma, già ferito da un colpo ad una spalla, fu raggiunto dopo poche decine di metri e freddato a colpi di pistola.
Il ricordo del sottosegretario Scalfarotto
“‘C’è una differenza sottile e abissale tra l’essere semplicemente operatori del diritto e l’essere operatori di giustizia: solo la seconda opzione permette di contrastare la tentazione di abusare del potere che la legge affida alle nostre mani’. Queste parole del giudice Rosario Livatino sono particolarmente significative. A distanza di 31 anni dalla sua barbara uccisione, Livatino continua a rappresentare un esempio di rettitudine e di civismo per i giovani e per tutto il nostro Paese”. Lo afferma il sottosegretario all’Interno Ivan Scalfarotto. “Egli ha pagato con la sua stessa vita – aggiunge – per difendere i principi della legalità e della giustizia contro ogni forma di criminalità e di violenza mafiosa, senza compromessi e timori. È nostro dovere non solo ricordare ma trasmettere il suo modello di integrità e di senso del dovere alle generazioni future”, conclude Scalfarotto.
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