- Il giudice Rosario Angelo Livatino è stato proclamato Beato
- La cerimonia alla cattedrale di Agrigento
- Il rito è stato presieduto dal cardinale Marcello Semeraro, prefetto della Congregazione delle Cause dei Santi.
Rosario Livatino, il giudice “ragazzino” ucciso dalla Stidda il 21 settembre del 1990 è stato oggi proclamato beato.
Grande festa nella Chiesa. A presiedere il rito di beatificazione, nella cattedrale di Agrigento, il cardinale Marcello Semeraro, prefetto della Congregazione delle Cause dei Santi.
L’omelia del cardinale Semeraro
“Nell’amore di Cristo Livatino si è collocato, ‘come un bimbo svezzato in braccio a sua madre'”. Lo ha detto il cardinale Marcello Semeraro durante la sua omelia.
“C’è una parola di Rosario Livatino – ha aggiunto il cardinale – su cui stamane vorrei riflettere, davanti a voi; una parola che mi pare possa aiutarci a comprendere non soltanto la sua vita, ma pure la sua santità e il suo martirio. La traggo dalla sua conferenza del 7 aprile 1984 su ‘Il ruolo del giudice nella società che cambia’, dove si legge: ‘l’indipendenza del giudice è nella sua credibilità, che riesce a conquistare nel travaglio delle sue decisioni ed in ogni momento della sua attività'”.
“Troviamo qui – ha proseguito Semeraro – la parola credibilità, che san Tommaso d’Aquino applica direttamente a Gesù, il quale è credibile perché non soltanto predicava, ma pure agiva in maniera coerente sicché quella del Signore era non una vita sdoppiata, ma sempre trasparente, limpida e, perciò, anche affidabile e amabile”,
“La credibilità è la condizione posta da Gesù per essere suoi amici, ha aggiunto il cardinale -. È questa la credibilità che san Pietro riconosce come virtù gradita a Dio, il quale, come abbiamo ascoltato, accoglie chi lo teme e pratica la giustizia”.
E ancora: “Considerando la vicenda di Rosario Livatino ci tornano vivide alla memoria le parole di san Paolo VI: ‘L’uomo contemporaneo ascolta più volentieri i testimoni che i maestri, o se ascolta i maestri lo fa perché sono dei testimoni. Il nostro Beato lo fu nel martirio. La sua vita, avrebbe detto il Manzoni, fu il paragone delle sue parole”.
“Credibilità fu per lui la coerenza piena e invincibile tra fede cristiana e vita. Livatino rivendicò, infatti, l’unità fondamentale della persona; una unità che vale e si fa valere in ogni sfera della vita: personale e sociale. – ha concluso il cardinale – Questa unità Livatino la visse in quanto cristiano, al punto da convincere i suoi avversari che l’unica possibilità che avevano per uccidere il giudice era quella di uccidere il cristiano. Per questo la Chiesa oggi lo onora come Martire”.
La sua vita un esempio per tutti
“Nonostante le difficoltà legate alla pandemia consideriamo questo giorno come un regalo prezioso della divina provvidenza che rende ancora più bello il volto della chiesa agrigentina. Sono passati quasi trent’anni dallo storico grido di San Giovanni Paolo II nella valle dei Templi, quando, dopo aver incontrato i genitori del giudice Livatino e a conclusione della solenne celebrazione eucaristica, invitò in modo accorato i mafiosi a convertirsi”. Lo ha detto, durante la cerimonia di beatificazione di Rosario Livatino, il cardinale di Agrigento Francesco Montenegro.
“Da allora la nostra chiesa ha sentito il bisogno di conoscere meglio la figura del giovane giudice.
Le testimonianze raccolte e la ricostruzione della vita del beato Livatino ci hanno spinto ad aprire la fase diocesana del processo di beatificazione – ha spiegato – . Alla sua conclusione, la documentazione è stata consegnata alla Congregazione dei Santi per i passaggi previsti e ha avuto la conferma nella scelta di Papa Francesco di dichiararlo martire. Si tratta del primo giudice che viene riconosciuto martire a motivo della fede professata e testimoniata fino all’effusione del sangue”.
“Quanto abbiamo vissuto ci responsabilizza a testimoniare con coraggio il Vangelo con una vita di fede semplice e credibile come quella del giudice Livatino. Speriamo che questa nostra terra di Sicilia, che purtroppo ancora soffre a motivo della mentalità mafiosa, faccia tesoro di questa lezione”, ha proseguito Montenegro.
“Il pensiero e la preghiera, – ha concluso – in questo momento, non possono non andare ai tanti magistrati, uomini delle forze dell’ordine, politici e a quanti altri sono state vittime della violenza dei malavitosi”.
(nella foto una reliquia del beato, la camicia che indossava il giorno in cui venne ucciso).
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