Ne parla anche in Fuocoammare Pietro Bartolo, il medico di Lampedusa, tra i protagonisti del film di Gianfranco Rosi, Orso d’oro a Berlino 2016 e candidato per l’Italia agli Oscar.
Tutte quelle ispezioni fatte sui cadaveri martoriati dei migranti portati sull’isola. Tante, davvero troppe. Solo che quegli esami richiesta di volta in volta da carabinieri, guardia di finanza, capitaneria di Porto non rientrano tra i suoi compiti di medico dell’Asp di Palermo.
Tutto quel lavoro ininterrotto non gli è stato mai pagato. E Pietro Bartolo ha iniziato la sua personale guerra per avere riconosciuto il compenso.
Ha presentato una nota all’Asp di Palermo (che noi riportiamo) dove si legge che lui ha eseguito 375 esami mentre la sua collega Pola 4.
“Non ci risultano pagamenti per queste prestazioni al medico Pietro Bartolo – dicono dall’amministrazione dell’Asp – Abbiamo ricevuto una seconda nota sempre a firma di Bartolo inviata per conoscenza alla nostra direzione e a tutti gli enti che in questi anni hanno chiesto gli esami e non lo hanno pagato”.
La sua battaglia è appena iniziata. “Ho scritto alla procura di Agrigento, ai carabinieri, alla Capitaneria di Porto e a tutti gli enti che mi hanno incaricato di eseguire gli esami che ho fatto in questi anni – dice Bartolo – Tutto quello che riuscirò ad ottenere sarà destinato ai migranti. I corpi erano i loro. Questi soldi andranno a loro. Io non terrò un euro”.
Il medico premiato e chiamato in tutto il mondo a testimoniare il suo impegno che riceve premi non riesce ad avere riconosciuto il suo lavoro dal punto di vista economico.
Eppure tanti sono i riconoscimento visto che Bartolo, si legge in alcune motivazioni è “un personaggio il cui ruolo ha ormai superato i confini di una vicenda personale per diventare un simbolo della storia di questo secolo”.
Lo stesso registra Gianfranco Rosi riconosce il merito del medico Pietro Bartolo nella realizzazione del film che tanto lustro sta dando all’Italia.
“Come spesso accade nel cinema documentario, è arrivato il caso e l’imprevisto. – racconta Rosi in un’intervista – A causa di una fastidiosa bronchite, sono andato al pronto soccorso di Lampedusa. Lì ho incontrato il dottor Pietro Bartolo, il direttore sanitario dell’Asl locale che da trent’anni cura i lampedusani e da quasi altrettanti assiste a ogni singolo sbarco, stabilendo chi va in ospedale, chi va nel Centro di Accoglienza e chi è deceduto. Senza neanche sapere che io fossi un regista alla ricerca di una possibile storia, durante quella visita Pietro Bartolo ha voluto condividere con me il suo vissuto sul fronte dell’assistenza medica e umanitaria”.
E’ stata una scintilla. “Quel che ha detto, le parole che ha usato, – ha aggiunto Rosi – mi hanno colpito profondamente. È scattata una complicità, ho visto in lui quella persona che poteva trasformarsi in un personaggio del film. Dopo un’ora e mezza di racconti, il dottore ha acceso il suo computer per mostrarmi immagini inedite e farmi “toccare con mano” il senso della tragedia dei migranti. È stato in quel momento che ho capito che dovevo trasformare la commissione per un corto di 10 minuti nel mio nuovo film”.
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