Era stato condannato a pagare una sanzione di 20 mila euro per avere svolto attività estrattiva di materiale calcareo su alcuni terreni di sua proprietà a Licata senza autorizzazione da parte dell’ente minerario.
Una condanna che aveva come pena accessoria lo stop per dieci anni a qualsiasi autorizzazione all’esercizio di cave sul territorio regionale.
La Corte di Cassazione ha annullato la condanna decisa dalla Corte d’Appello di Palermo. Il proprietario dei terreni, assistito dagli avvocati Girolamo Rubino e Massimiliano Valenza, ha dimostrato di non avere la disponibilità materiale dei terreni quando erano in corso le attività estrattive visto che aveva ceduto il fondo in comodato d’uso a terzi.
Su quegli stessi appezzamenti finiti nell’inchiesta che aveva portato alla condanna era stato stipulato un preliminare di vendita.
“Per affermare la responsabilità del proprietario del terreno – hanno scritto i giudici della Corte di Cassazione – con la persona fisica che materialmente eseguì o diresse le operazioni di escavazione la Corte avrebbe dovuto accertarsi che al momento di tali operazioni il proprietario non risultasse sostituito dal altro soggetto titolare di un diritto personale di godimento trovante titolo nei contratti di comodato”.
Qualche giorno fa è stata emessa un’altra sentenza riguardante un’altra cava, sempre nell’Agrigentino.
Stop all’interdittiva antimafia pronunciata nei confronti di una impresa il cui titolare è figlio di un uomo che è stato pienamente riabilitato da vicende risalenti a oltre venti anni fa.
I giudici della prima sezione del Tar di Palermo presieduti da Salvatore Veneziano hanno sospeso un’interdittiva antimafia su un’attività di cava regolarmente autorizzata nel comune di Sciacca. Il provvedimento emesso dalla prefettura aveva portato al distretto minerario di Caltanissetta, competente territorialmente, ad emettere la decadenza dell’attività. Contro questa decisione il titolare L.L. che gestisce la cava dal 1995, assistito dagli avvocati Girolamo Rubino, Lucia Alfieri e Vincenzo Airó, ha presentato ricorso al Tar.
Il padre del titolare della cava, nel 1996 era stato destinatario della misura di prevenzione della sorveglianza speciale disposta dal Tribunale di Agrigento per la durata di quattro anni dal 1996 al 2000. Dopo questo periodo avrebbe cambiato vita.
La Prefettura di Agrigento, a seguito di una verifica disposta dal distretto minerario nei confronti dei soggetti proprietari di talune aree su cui sorge la cava del sig. L.L. ha adottato un provvedimento interdittivo nei confronti del padre, soggetto che, se pure comproprietario di uno dei terreni interessati dall’attività di cava, non esercita alcuna attività di impresa e non ha alcun ruolo nella gestione dell’impresa del figlio. Il provvedimento dell’ente minerario è stato emesso senza attivare il necessario contraddittorio.
I legali del titolare della cava hanno dimostrato che il provvedimento interdittivo adottato nei confronti del padre è ormai datato visto che grazie alla propria buona condotta e la presa di distanza dagli ambienti criminali, nel frattempo ha ottenuto la piena riabilitazione dalla misura di prevenzione adottata oltre vent’anni addietro.
I giudici del Tar Palermo hanno accolto le tesi della difesa e consentito così all’imprenditore di proseguire la propria attività.