Dopo “Conversazione su Tiresia”, Andrea Camilleri avrebbe dovuto rappresentare il monologo “Autodifesa di Caino”. Lo avrebbe dovuto mettere in scena il 15 luglio dell’anno scorso alle Terme di Caracalla. Come è noto, la malattia e la lunga agonia glielo ha impedito.
L’estate scorsa lo scrittore di Vigata, rectius Porto Empedocle, ci ha lasciato rimanendo nei tantissimi suoi lettori, oltre la tristezza che accompagna ogni scomparsa, l’amarezza di non poterlo più seguire nelle sue numerose e puntuali offerte editoriali.
La Sellerio ha però voluto pubblicare la sua “Autodifesa di Caino” (81 pagg., 8 euro) con una nota dell’editore, nella quale si legge: “L’’Autodifesa di Caino’, questo monologo che è un interrogarsi sul male, è il primo libro di Andrea Camilleri che pubblichiamo dopo la sua morte. Ed è per noi quindi il primo che egli non ha potuto vedere stampato. In esso, per come è ideata e compiuta l’opera, il lettore sentirà risuonare la sua voce”.
Ed è vero, leggendo “Autodifesa di Caino”, si ha la sensazione di sentirla, quella voce rauca, provata dalle troppe sigarette, per nulla stanca. Ed anche di vederlo, Camilleri col suo faccione bonario, illuminato dall’intelligenza e dal buon senso.
In “Autodifesa di Caino” Camilleri, indifferente alla narrazione biblica, si riallaccia a taluni vangeli apocrifi e riecheggia il “Caino” di Bayron e le versioni teatrali e letterarie dei premi Nobel Fo e Saramago.
In più, Camilleri s’identifica con Caino, per quanto ciò possa apparire paradossale e provocatorio. Vi s’identifica – e da qui il titolo “Autodifesa” e la volontà di essere lui la voce recitante, così come lo era stato per “Conversazione su Tiresia” – perché in Caino Camilleri vede l’uomo.
L’uomo che ha in sé il male e la consapevolezza della scelta. Caino, secondo la finzione letteraria dello scrittore siciliano, uccide Abele perché da lui aggredito, per autodifesa. Caino, secondo Camilleri, si comporta come si sarebbero comportati tutti gli esseri umani, o la maggior parte di essi. Perciò la sua demonizzazione è un’ingiustizia alla quale Camilleri reagisce come a tutte le ingiustizie.
Il monologo è divertente, come di regola le opere di Camilleri, e, nello stesso tempo, è ricco di citazioni letterarie e di riflessioni sulla natura umana. Detto in soldoni, il messaggio che Camilleri vuole lasciarci con “Autodifesa di Caino” è che l’uomo ha dentro di sé il bene e il male e che ogni visione manichea della realtà è fuorviante. “Autodifesa di Caino” si può leggere pertanto come un testamento contro il dogmatismo e contro ogni visione dell’universo antropologico settaria e unilaterale.
Ma in “Autodifesa di Caino” si può smascherare anche altro: il dialogo di un non credente con Dio. Un dialogo che non si esaurisce nella mera contrapposizione: Camilleri leggeva i vangeli e in essi trovava non solo motivi di grande interesse, ma anche una forza salvifica alla quale appellarsi.
In fondo, come è stato notato, anche il più impenitente “ateo” non riesce a sottrarsi, specie nei suoi ultimi anni, a un bisogno insito negli uomini: la ricerca di Dio.
Infine, una considerazione. Con gli ultimi suoi monologhi “Conversazione su Tiresia” e “Autodifesa di Caino”, Camilleri si misura con opere teatrali, lui che prima di conquistare la straordinaria notorietà con la narrativa era stato, per lunghi anni, un uomo di teatro. Come a dire che alla fine il primo amore (il teatro) non si scorda mai e ritorna sempre.
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