No al referendum abrogativo della legge sull’Autonomia Differenziata. la Corte Costituzionale ha giudicato il quesito abrogativo non  ammissibile perché il principio dell’Autonomia differenziata è presente in Costituzione”. Si tratta di una bocciatura frutto, probabilmente  di una “esagerazione”. Vale a dire che nel porre il quesito il fronte del no alla legge ha voluto proporne, in pratica, l’abrogazione totale e non il ridimensionato di specific principi, nella convinzione dell’assoluta necessità di non applicare alcuna riforma in senso autonomista. Questo ha reso il quesito stesso inammissibile

La Cgil non si convince dell’errore

“Continuiamo a ritenere che l’autonomia differenziata sia una misura nefasta per il Mezzogiorno e per la Sicilia e continueremo a contrastarla con tutti i mezzi a nostra disposizione” dice il segretario generale della Cgil Sicilia, Alfio Mannino. che annuncia “La battaglia contro l’autonomia differenziata ora continua – aggiunge Mannino- affinchè il Parlamento corregga la legge secondo le indicazioni della Corte Costituzionale e per riportare sui giusti binari le politiche nazionali per lo sviluppo del sud del paese e della nostra regione. Il governo regionale si adoperi a favore della Sicilia in questi delicati passaggi”.

Ciò perché la stessa Consulta era già intervenuta sulla legge Calderoli cassando alcuni passaggi ritenuti incostituzionali. Di fatto la legge era già stata falcidiata e occorrerà tornare in parlamento per modificarla a partire dal sistema di devoluzione dei poteri che non può rispecchiare le semplici richieste delle Regioni o intenzioni del governo centrale. Insomma il principio che deve muovere la mano deve essere legati all’interesse del cittadino e della comunità e non può essere un semplice spostamento di poteri

La nuova battaglia

Il fronte del no, quindi, non si ferma “La battaglia contro l’autonomia differenziata ora continua – aggiunge Mannino-affinchè il Parlamento corregga la legge secondo le indicazioni della Corte Costituzionale e per riportare sui giusti binari le politiche nazionali per lo sviluppo del sud del paese e della nostra regione. Il governo regionale si adoperi a favore della Sicilia in questi delicati passaggi”.

Il “No” della corte Costituzionale al referendum sull’autonomia differenziata non ci preoccupa. La legge era stata già fatta a pezzi dalla Consulta a Novembre, così com’è ora è inapplicabile. Roma dovrà tornare a metterci le mani, ma dovrà farlo dentro i paletti molto stretti messi dalla Corte, il che cambia parecchio” dicono anche in casa pentastellata.

“Coloro che esultano per questo pronunciamento, considerandolo una vittoria – commentano – fanno ridere, visto che il Ddl Calderoli, già un obbrobrio in partenza, era diventato uno zombie, come qualche Costituzionalista l’ha definito, dopo Novembre” affermano il coordinatore regionale del M5S per la Sicilia, Nuccio Di Paola e il capogruppo del M5S all’Ars Antonio De Luca.

“Schifani ora smetta la casacca di partito e indossi, una volta tanto, quella della Sicilia, come non ha fatto in sede di conferenza Stato-Regioni, quando il suo governo ha dato l’ok al pessimo disegno di legge partorito da Calderoli. La Scuola e, soprattutto, la Sanità sono alla canna del gas in Sicilia, non permetta più operazioni come questa che potrebbero mettere una pietra tombale sopra a questi settori solo per obbedire a bassi ordini di scuderia”.

L’Autonomia dimezzata, cosa aveva deciso a Novembre la Corte Costituzionale

Il pronunciamento di novembre scorso è cruciale in tutto questo, Allora i Giudici avevano ritenuto che la distribuzione delle funzioni legislative e amministrative tra i diversi livelli territoriali di governo, in attuazione dell’art. 116, terzo comma, “non debba corrispondere all’esigenza di un riparto di potere tra i diversi segmenti del sistema politico, ma debba avvenire in funzione del bene comune della società e della tutela dei diritti garantiti dalla nostra Costituzione. A tal fine, è il principio costituzionale di sussidiarietà che regola la distribuzione delle funzioni tra Stato e regioni”.

“In questo quadro, – scrivono i Giudici -l’autonomia differenziata deve essere funzionale a migliorare l’efficienza degli apparati pubblici, ad assicurare una maggiore responsabilità politica e a meglio rispondere alle attese e ai bisogni dei cittadini.La Corte, nell’esaminare i ricorsi delle Regioni Puglia, Toscana, Sardegna e Campania, le difese del Presidente del Consiglio dei ministri e gli atti di intervento ad opponendum delle Regioni Lombardia, Piemonte e Veneto, ha ravvisato l’incostituzionalità dei seguenti profili della legge:

– la possibilità che l’intesa tra lo Stato e la regione e la successiva legge di differenziazione trasferiscano materie o ambiti di materie, laddove la Corte ritiene che la devoluzione debba riguardare specifiche funzioni legislative e amministrative e debba essere giustificata, in relazione alla singola regione, alla luce del richiamato principio di sussidiarietà;

– il conferimento di una delega legislativa per la determinazione dei livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali (LEP) priva di idonei criteri direttivi, con la conseguenza che la decisione sostanziale viene rimessa nelle mani del Governo, limitando il ruolo costituzionale del Parlamento;

– la previsione che sia un decreto del Presidente del Consiglio dei ministri (dPCm) a determinare l’aggiornamento dei LEP;

– il ricorso alla procedura prevista dalla legge n. 197 del 2022 (legge di bilancio per il 2023) per la determinazione dei LEP con dPCm, sino all’entrata in vigore dei decreti legislativi previsti dalla stessa legge per definire i LEP;

– la possibilità di modificare, con decreto interministeriale, le aliquote della compartecipazione al gettito dei tributi erariali, prevista per finanziare le funzioni trasferite, in caso di scostamento tra il fabbisogno di spesa e l’andamento dello stesso gettito; in base a tale previsione, potrebbero essere premiate proprio le regioni inefficienti, che – dopo aver ottenuto dallo Stato le risorse finalizzate all’esercizio delle funzioni trasferite – non sono in grado di assicurare con quelle risorse il compiuto adempimento delle stesse funzioni;

– la facoltatività, piuttosto che la doverosità, per le regioni destinatarie della devoluzione, del concorso agli obiettivi di finanza pubblica, con conseguente indebolimento dei vincoli di solidarietà e unità della Repubblica;

– l’estensione della legge n. 86 del 2024, e dunque dell’art. 116, terzo comma, Cost. alle regioni a statuto speciale, che invece, per ottenere maggiori forme di autonomia, possono ricorrere alle procedure previste dai loro statuti speciali”.

Di fatto gli ermellini avevano anche dato indicazioni di modifica operativa importanti dando una interpretazione che orienta al rispetto della Costituzione e indicando queste modifiche specifiche:

– l’iniziativa legislativa relativa alla legge di differenziazione non va intesa come riservata unicamente al Governo;

– la legge di differenziazione non è di mera approvazione dell’intesa (“prendere o lasciare”) ma implica il potere di emendamento delle Camere; in tal caso l’intesa potrà essere eventualmente rinegoziata;

– la limitazione della necessità di predeterminare i LEP ad alcune materie (distinzione tra “materie LEP” e “materie-no LEP”) va intesa nel senso che, se il legislatore qualifica una materia come “no-LEP”, i relativi trasferimenti non potranno riguardare funzioni che attengono a prestazioni concernenti i diritti civili e sociali;

– l’individuazione, tramite compartecipazioni al gettito di tributi erariali, delle risorse destinate alle funzioni trasferite dovrà avvenire non sulla base della spesa storica, bensì prendendo a riferimento costi e fabbisogni standard e criteri di efficienza, liberando risorse da mantenere in capo allo Stato per la copertura delle spese che, nonostante la devoluzione, restano comunque a carico dello stesso;

– la clausola di invarianza finanziaria richiede – oltre a quanto precisato al punto precedente – che, al momento della conclusione dell’intesa e dell’individuazione delle relative risorse, si tenga conto del quadro generale della finanza pubblica, degli andamenti del ciclo economico, del rispetto degli obblighi eurounitari”.

Una serie di indicazioni fornita ma “spetta al Parlamento, nell’esercizio della sua discrezionalità, colmare i vuoti derivanti dall’accoglimento di alcune delle questioni sollevate dalle ricorrenti, nel rispetto dei principi costituzionali, in modo da assicurare la piena funzionalità della legge. La Corte resta competente a vagliare la costituzionalità delle singole leggi di differenziazione, qualora venissero censurate con ricorso in via principale da altre regioni o in via incidentale”.

Ammessi altri cinque referendum

Sono stati, invece, ammessi gli altri cinque quesiti referendari sempre voluti dalla CGIL ma che riguardano argomenti attinenti il mondo sindacale e del lavoro. Si tratta di ridurre da dieci a cinque gli anni necessari per ottenere la cittadinanza italiana, quello sul jobs act, quello sull’indennità di licenziamento nelle piccole imprese, quello sui contratti di lavoro a termine e quello sulla responsabilità solidale del committente negli appalti.

“Sarà comunque una stagione referendaria importante per ridare dignità al lavoro e liberarlo da sottosalario, sfruttamento, precarietà e per allargare i diritti di cittadinanza” dice su questo “contentino” il segretario generale della Cgil Sicilia, Alfio Mannino. Si tratta, però, di una vittoria di Pirro.

Senza il referendum portante sull’Autonomia differenziata, che avrebbe condotto gli italiani alle urne, appare molto difficile che gli altri possano raggiungere il quorum .

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