Il reato di caporalato non può essere applicato per una professione intellettuale, come quella dell’insegnante. Lo hanno stabilito i giudici di Cassazione che hanno annullato senza rinvio l’ordinanza di custodia cautelare degli arresti domiciliari applicata lo scorso aprile a Patrizia Ficicchia, 60 anni, presidente del consiglio di amministrazione della cooperativa sociale “La Rocca di Cefalù” che gestisce gli istituti superiori paritari Scicolone di Cefalù e Ariosto di Termini Imerese (Palermo).

Annullata l’ordinanza di custodia cautelare

Annullata invece con rinvio la parte dell’ordinanza in cui viene contestata l’estorsione aggravata nei confronti dei dipendenti. In questo caso dovrà essere rivalutata dai giudici.

Accuse di lavoro sottopagato e restituzione retribuzioni

La procura di Termini Imerese aveva contestato alla donna di avere obbligato professori e impiegati amministrativi a restituire la retribuzione ricevuta o a lavorare sottopagati con la minaccia di non riassumerli in occasione dei rinnovi di contratto.

Difesa contesta le accuse

La donna difesa dagli avvocati Vincenzo Pillitteri e Giuseppe Muffoletto ha contestato le accuse.

Secondo i supremi giudici il reato previsto dall’articolo 603-bis del Codice penale non si può estendere per analogia nel caso di lavoro intellettuale perché è stato pensato per contrastare il “sempre più allarmante fenomeno del caporalato agricolo soprattutto nelle campagne meridionali”.

Reato di caporalato limitato al settore agricolo

Per la Cassazione il reato di caporalato non può essere esteso ad un settore per il quale non era stato pensato dal legislatore.

Costretti a lavorare gratis o a restituire lo stipendio, la rivolta degli insegnanti e l’arresto della preside

I documenti contabili della società cooperativa La Rocca di Cefalù erano in regola. Anche il Durc, il documento di regolarità contributiva, era regolare. Peccato che, come hanno accertato i carabinieri per tenere basse le rette e massimizzare i profitti, gran parte dei professori era costretta a restituire in parte o del tutto la retribuzione. Alcuni insegnanti dell’istituto paritario Scicolone di Cefalù e Ariosto a Termini Imerese avevano firmato una richiesta per avere una retribuzione in contanti, documenti senza alcun valore legale. Altri dovevano restituire le somme ricevute tramite bonifici.

L’operazione dei carabinieri

Così in casa degli indagati i carabinieri, coordinati dalla procura di Termini Imerese diretta da Ambrogio Cartosio, nel corso delle perquisizioni, hanno trovato delle casseforti con dentro dai 10 ai 15 mila euro tutte in banconote di piccolo taglio e tanti fogli annotati a mano con i nomi dei professori e delle cifre a fianco. “Ma come fai a pagare i docenti in una scuola del genere con le spese che ha – diceva una delle indagate al telefono – La retta degli studenti è 100 euro al mese. Ti pare che sono mille. Come fai con quei quattro alunni che ci sono a pagare un docente? Non puoi”.

L’inchiesta

L’inchiesta è iniziata quando una delle insegnanti parlando con un carabiniere in servizio alla compagnia di Cefalù ha raccontato di lavorare nell’istituto paritario Scicolone ed era costretta a restituire la somma corrisposta e anche il Tfr. In cambio aveva acquisito un punteggio per andare avanti in graduatoria e potere aspirare ad un posto nella scuola pubblica. Una prassi consolidata che sarebbe stata nota a tutti gli indagati: Patrizia Ficicchia, presidente del consiglio di amministrazione della società, Pietro Giambelluca, preside della scuola di Termini Imerese, Giada Altilio, addetta alla segreteria, Daniele Giambelluca consigliere e Alice Cinzia Ficicchia responsabile dell’istituto Ariosto di Termini Imerese.

Il racconto dell’insegnante

Dopo il racconto della giovane insegnante, che aspirava ad avere un maggiore punteggio, tanti altri docenti si sono presentati dai carabinieri e hanno raccontato di essere stati costretti a restituire le somme. “Se qualcuno tardava arrivavano i messaggi whatsapp – raccontano le vittime – da parte dei gestori”.

Non appena si è diffusa la notizia delle indagini e sono iniziate le perquisizioni sarebbero cominciate anche le ritorsioni da parte degli indagati. Patrizia Ficicchia chiese ad un finanziere compagno di una parente di andare ad eseguire un controllo fiscale al padre di una delle docenti che aveva presentato denuncia che gestiva un ristorante a Cefalù. Richiesta che non ebbe seguito. La stessa presidente del consiglio di amministrazione, ormai certa di essere sotto indagine, chiese al titolare di un’azienda di impianti elettronici se fosse possibile eseguire la bonifica dei cellulari, dell’auto, dell’abitazione e degli istituti scolastici da microspie.