I giudici della seconda sezione penale del tribunale di Palermo presieduti da Roberto Murgia hanno respinto l’istanza presentata dall’avvocato Leonarda Lo Presti per chiedere l’attenuazione della misura cautelare di Angelo Flores, uno dei sette giovani condannati in primo grado per lo stupro di gruppo avvenuto nel luglio del 2023 in un cantiere abbandonato al Foro Italico.

La condanna

Per il giovane condannato in primo grado a 7 anni di carcere è stata chiesta dal difensore la pena meno afflittiva dei domiciliari con il braccialetto elettronico. L’avvocato Leonarda Lo Presti alla luce del definizione del primo grado aveva chiesto l’attenuazione della pena visto che si eliminerebbe il “ pericolo di inquinamento probatorio essendo venuta meno l’esigenza di genuinità della prova ormai acquisita”.

La richiesta

Contro questa richiesta si era espresso l’avvocato Carla Garofalo che assiste la vittima poiché l’imputato durante tutto il corso del processo non ha mai manifestato la volontà di chiedere perdono alla parte offesa. Anzi nel corso dell’esame in tribunale il giovane ha mostrato “una personalità immatura e spregiudicata che appare rivelatrice di un’assoluta mancanza di educazione sociale, al rispetto della donna, una preoccupante assenza di consapevolezza dei gravi illeciti comportamenti messi in atto nei confronti della vittima”.

Lo stupro

L’eco dello stupro di gruppo al Foro Italico di Palermo, continua a riverberare nelle vite di coloro che sono stati coinvolti, direttamente o indirettamente. Mentre il processo si avvia verso la fase d’appello, le madri di tre dei sette imputati, Loredana Mamone, Ornella Valenti e Francesca Mortillaro, madri rispettivamente di Gabriele Di Trapani, Angelo Flores e Christian Maronia, rompono il silenzio. Dopo mesi di insulti, minacce e un’opprimente pressione mediatica, decidono di raccontare la loro versione dei fatti, un racconto intriso di dolore, speranza e la ferma convinzione che i loro figli, pur avendo commesso degli errori, non siano i “mostri” dipinti dall’opinione pubblica. Un anno e mezzo di silenzio, caratterizzato da sofferenza e sgomento, durante il quale hanno assistito impotenti al processo mediatico che ha travolto le loro famiglie.

“Non si fa sesso di gruppo, un errore grave, ma non sono stupratori”

Le tre donne, con voce rotta dal pianto, non negano la gravità delle azioni dei figli. “Non si fa sesso di gruppo per strada”, ammettono con fermezza, “certe cose le fanno gli animali”. Riconoscono l’errore, il comportamento inaccettabile, la mancanza di rispetto. Tuttavia, respingono con forza l’etichetta di “stupratori” affibbiata ai loro figli. Sono convinte che la verità processuale non coincida con la realtà dei fatti e confidano che il processo d’appello possa fare chiarezza, ridimensionare le accuse e dimostrare l’innocenza dei ragazzi. “Quando tutto sarà finito”, promettono con sguardo determinato, “riceveranno la nostra punizione di madri, ma una punizione giusta, proporzionata alle loro reali responsabilità”.

Articoli correlati