Un dialogo vivace e profondo con Franzina Bilardo – avvocato penalista e autrice di testi giuridici – che, attraverso il suo romanzo di esordio “Il Viaggio della Semina” (Algra Editore), esplora temi di grande attualità come la cultura della solidarietà e i valori universali che accomunano le diverse culture. Con sensibilità, l’autrice ci accompagna in una riflessione sui valori essenziali della vita, offrendo uno sguardo umano e inclusivo su ciò che davvero ci unisce.
“Il viaggio della semina” è il suo romanzo di esordio nella narrativa. Cosa l’ha spinta a passare dalla scrittura giuridica alla narrativa?
In realtà, io non sono passata dalla scrittura giuridica alla scrittura creativa della narrativa; ho solo deciso di affiancare e fare camminare in parallelo – ognuna nella propria autonomia e peculiarità – le due tipologie di scrittura. Personalmente, ho sempre considerato la scrittura il più efficace mezzo di comunicazione interpersonale. Rispetto alla parola, la scrittura possiede un importante valore aggiunto: permette di esprimere il proprio pensiero in modo più ordinato e razionale; consente di superare efficacemente il possibile scoglio dell’emozione o dell’impulsività; offre la possibilità di raggiungere meglio l’obiettivo della comunicazione che si vuole trasmettere. Ovviamente, se diversi sono gli obiettivi, non potranno non essere diverse le relative scritture di supporto. Un giurista, o un avvocato, che voglia illustrare un determinato istituto giuridico, una particolare strategia difensiva, uno specifico punto di vista tecnico, è tenuto a farlo con la massima puntualità e rigore in punto di diritto. L’autore di un libro di narrativa, invece, può assaporare il gusto di raccontare liberamente le sue storie. Io, sino a qualche tempo fa, avevo ritenuto giusto dedicarmi solo alla scrittura di supporto alla mia attività professionale. Adesso ho deciso di regalarmi la gioia di potere scrivere anche su cose e temi che appartengono alla sfera squisitamente personale.
Anna, la protagonista, è un personaggio complesso che affronta un percorso di crescita interiore. Cosa rappresenta per lei questa figura? Ha tratti autobiografici o si ispira a persone che ha conosciuto?
La cosa certa – ed è per questo che, nella sinossi del libro, è scritto a chiare lettere “liberamente ispirato ad una storia vera” – è che si tratta di una storia che, tranne quale accessorio doverosamente romanzato, è stata realmente vissuta. Che poi la storia sia stata vissuta da me, o da altra persona che si chiami o meno Anna come la protagonista … non ha importanza. Non ho mai amato le autobiografie, anche perché ritengo siano maggiormente confacenti a personaggi come Nelson Mandela, Papa Francesco, uomini e donne di simile caratura.
Il viaggio e il volontariato sono elementi centrali del romanzo. Cosa voleva trasmettere attraverso queste esperienze di Anna? Qual è secondo lei il valore di mettersi al servizio degli altri?
Più che di “volontariato” a me piace parlare di “cultura della solidarietà umana”; il volontariato è solo uno dei tanti strumenti – sicuramente tra i più importanti – attraverso cui questo tipo di etica può essere abbracciata. L’esperienza di Anna è solo quella di una donna comune, peraltro neanche vicina alla fede religiosa, che, attraverso un incontro casuale con il mondo dei più fragili, dei malati, dei bisognosi, de i più poveri fra i poveri di Madre Teresa, comprende l’importanza di “non voltarsi dall’altra parte” nei confronti di chi è meno fortunato. Tutto questo, per Anna, finisce per tradursi in serenità, gioia interiore, emancipazione personale rispetto a tanti luoghi comuni di tipo classista o stupidamente “borghese”. Direi che è una conseguenza davvero bella. Specialmente i giovani, a mio avviso, oggi più che mai dovrebbero vivere questo tipo di esperienze, per comprenderle, assorbirle, e farle diventare il faro dei loro valori di vita.
Il romanzo tocca temi come l’amicizia, la solidarietà e la ricerca di significato. Come ha scelto di affrontare queste tematiche? Ci sono episodi o riflessioni che nascono da esperienze personali?
Assolutamente sì. Ma non credo siano di particolare interesse per i lettori ….
L’ambientazione alterna città e luoghi come Milano, Lourdes e Calcutta. Qual è stata l’ispirazione dietro questa scelta? Quanto è stato importante per la storia esplorare questi scenari diversi?
Milano è solo il luogo di origine della protagonista, avrebbe potuto essere qualunque altra città italiana, e Lourdes e Calcutta sono i luoghi in cui Anna decide di gettarsi al fianco dei “deboli”. Lourdes e Calcutta sono due simboli, i più conosciuti e significativi, ma la storia avrebbe potuto essere incentrata tranquillamente in parecchie regioni dell’Africa, nelle favelas di Rio de Janeiro, nei quartieri degradati di New York dove tanta gente muore assiderata per strada o magari si butta dal 50° piano di un grattacielo per solitudine, in qualsiasi altro luogo dove ci si scontri con il dovere morale di dare una mano a chi ne ha bisogno.
Nei suoi incontri, Anna incrocia storie di persone segnate da difficoltà e sofferenze. Come
ha costruito questi personaggi? Che ruolo giocano nella crescita di Anna?
Quasi tutte le situazioni richiamate nel libro potevano essere raccontate bene solo se conosciute da vicino. Anche per questo motivo i personaggi della storia, tranne qualcuno di minore importanza, appartengono alla vita reale. Nessuno io credo – dunque, neanche Anna – avrebbe potuto rimanere insensibile dinanzi a certe cose, né evitare di trarne la giusta importanza ai fini della comprensione dei valori essenziali della vita.
Lo stile del romanzo unisce leggerezza e profondità, alternando momenti vivaci a riflessioni più intime. Come ha lavorato sull’equilibrio tra questi due registri?
Dal punto di vista narrativo, ho ritenuto assolutamente prioritario riuscire a equilibrare lacrime e risate, circostanze tragiche e occasioni di gioco. In questo, forse, ritengo di essere stata “bravina”. Scrivere un libro che tratti temi di dolore e sofferenza, facendo anche sorridere e restituendo al lettore sentimenti di speranza e di gioia di vivere, non è affatto semplice.
Il concetto di “semina” è una metafora molto forte nel romanzo. Cosa rappresenta esattamente? Quale messaggio voleva lasciare al lettore con questo titolo?
Il viaggio della semina è senz’altro una metafora. Il libro si sviluppa attraverso sei capitoli principali: – Il seme; – Il germoglio; – La fioritura; – La quiescenza; – Il risveglio; – La raccolta. Sono le fasi principali della vita di una pianta, ma sono anche quelle in cui ognuno di noi può rispecchiarsi e trovare i suoi principali percorsi di vita, o di una specifica parentesi della propria vita. Nel libro, sono le tappe che Anna ha attraversato prima di riuscire a fare pace con la parte migliore di sé, quella che, per convenzioni sociali e familiari, aveva sempre custodito gelosamente “in cassaforte”.
Da giurista e penalista, è abituata a raccontare storie di vita vissuta, anche se in un contesto diverso. Quanto il suo lavoro ha influenzato la scrittura di questo romanzo?
La professione di avvocato penalista conduce, necessariamente, ad una più profonda conoscenza di cosa c’è dietro le apparenze e cosa, soprattutto, si nasconde nell’animo umano. È una professione che ti fa stare quotidianamente a contatto con gli altri, nei momenti più difficili e complessi della loro vita, e questo produce inevitabilmente una maggiore sensibilità nella comprensione delle cose e delle persone.
Spesso i lettori parlano di un senso di “rinascita” e “nuova consapevolezza” come risultato del viaggio di Anna. Quale riflessione o emozione spera di suscitare nei lettori alla fine del romanzo?
Mi auguro soltanto che, scorrendo le pagine di questo libro, i lettori possano provare quelle stesse emozioni che ho provato io quando lo scrivevo.
La sua scrittura affronta temi profondi senza mai risultare pesante o didascalica. Ha modelli letterari che l’hanno ispirata per questo stile o si è affidata al suo istinto narrativo?
Nessuno modello in particolare. Mi considero solo “l’ultima ruota del carro”, che ha ritenuto giusto seguire il suo istinto narrativo. Dal punto di vista tecnico, però, è stata per me della massima importanza la guida di Luigi La Rosa, scrittore e docente di scrittura creativa, che mi ha insegnato a controllare e governare meglio quelle emozioni che, a volte, quando si toccano temi forti, possono far correre il rischio di diventare retorici.
Cosa significa per lei l’amore, che sembra avere un ruolo centrale nella storia? Come ha cercato di rappresentarne le sfumature e l’importanza nelle nostre vite?
Io credo che l’amore, inteso come amore universale che prescinde da specifici amori di natura “sentimentale”, dovrebbe essere il motore portante della vita di ognuno, esattamente come lo è stato per Anna.
Il libro ha ricevuto recensioni molto positive. Si aspettava questo tipo di riscontro? Come vive il rapporto con i suoi lettori?
Meravigliosamente bene!
Dopo questo primo romanzo, ha già in mente nuovi progetti narrativi? Se sì, pensa di mantenere un legame con i temi trattati o vuole esplorare altro?
Per adesso non lo so. Ho in cantiere una raccolta di racconti “a tema”. Altro tipo di storie ma attraverso il mix che io amo di più: emozioni tra il serio e il faceto. In futuro … si vedrà …
Questo contenuto è un comunicato stampa. Non è passato dal vaglio della redazione. Il responsabile della pubblicazione è esclusivamente il suo autore.
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