Il pubblico ministero Maurizio Bonaccorso ha chiesto il rinvio a giudizio per quattro poliziotti accusati di depistaggio nelle indagini sulla strage di via D’Amelio, dove persero la vita il giudice Paolo Borsellino e cinque agenti della sua scorta. Come si legge sul Giornale di Sicilia, l’udienza preliminare si è svolta davanti al gup di Caltanissetta, David Salvucci. I quattro agenti, Maurizio Zerilli, Giuseppe Di Gangi, Vincenzo Maniscaldi e Angelo Tedesco, sono accusati di aver mentito durante il processo che vedeva imputati altri tre poliziotti, anch’essi accusati di depistaggio, procedimento conclusosi in secondo grado con la prescrizione del reato. Fabio Trizzino, legale dei figli di Paolo Borsellino, ha accusato i poliziotti di non aver collaborato alla ricerca della verità, sottolineando come l’inadeguatezza di Vincenzo Scarantino, falso collaboratore di giustizia, fosse evidente fin dall’inizio. Trizzino ha rimarcato l’importanza di fare luce su quanto accaduto dopo la strage, chiedendo ai poliziotti di rivelare cosa avessero visto e cosa avessero commesso i loro colleghi. L’avvocato ha definito il depistaggio come un’ulteriore umiliazione per i familiari delle vittime e un oltraggio alla memoria dei colleghi che persero la vita nell’attentato.

Le accuse del pm Bonaccorso e i “non ricordo”

Il pm Bonaccorso ha ricostruito le fasi in cui i quattro agenti, tre dei quali in pensione, avrebbero fornito versioni contraddittorie e costellate di “non ricordo”, inquinando le indagini. Secondo l’accusa, questi “non ricordo” sarebbero stati pronunciati in malafede e con reticenza, impedendo la ricostruzione dei fatti. Il pubblico ministero ha evidenziato la surrealtà di tali dichiarazioni, insistendo sulla necessità di un approfondimento dibattimentale per accertare le responsabilità dei quattro imputati. Bonaccorso ha ripercorso le tappe del depistaggio, a partire dall’indottrinamento del falso pentito Vincenzo Scarantino, le cui dichiarazioni hanno deviato il corso delle indagini. L’accusa ha sottolineato come le reticenze e le false dichiarazioni degli agenti abbiano contribuito a creare il più grande depistaggio della storia giudiziaria italiana.

Le dichiarazioni spontanee di Maniscaldi e la posizione delle istituzioni

Durante l’udienza, Vincenzo Maniscaldi ha reso dichiarazioni spontanee, proclamandosi innocente e affermando di aver detto la verità sotto giuramento, senza mai nascondere o travisare nulla. Gli altri imputati, presenti in aula, erano assistiti dagli avvocati Giuseppe Panepinto, Giuseppe Seminara e Maria Giambra. Tutti e quattro facevano parte del pool investigativo Falcone-Borsellino, guidato all’epoca da Arnaldo La Barbera, ex capo della Squadra Mobile di Palermo. L’udienza si è aperta con la richiesta dell’avvocato Giuseppe La Spina, in rappresentanza dell’Avvocatura dello Stato, di escludere la Presidenza del Consiglio e il Ministero degli Interni dalle responsabilità civili. Il gup Salvucci, dopo una breve camera di consiglio, ha rigettato la richiesta. La prossima udienza è fissata per il 13 novembre.

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