Maxi sequestro a un noto commercialista messinese. Sotto chiave beni per 12 milioni di euro dopo il blitz degli uomini della Direzione Investigativa Antimafia coordinati dalla Direzione distrettuale contro la criminalità organizzata.

Truffa e riciclaggio

Il professionista, attivo nella zona dei Nebrodi, sarebbe coinvolto in numerosi procedimenti penali per truffa finalizzata al conseguimento di erogazioni pubbliche, reati fiscali, riciclaggio e autoriciclaggio, è stato sottoposto a confisca di prevenzione.

Dagli atti giudiziari, è emerso come il prevenuto, sottoposto anche alla sorveglianza speciale per due anni con l’obbligo di soggiorno nel comune di residenza o di dimora abituale, abbia “da sempre strumentalizzato la sua attività professionale per la costituzione di un sistema truffaldino fondato sull’utilizzo di schemi societari non corrispondenti al dato reale, attraverso il quale egli ha rivolto a suo vantaggio consistenti contributi di natura pubblica”, tra cui gli incentivi previsti a favore delle attività produttive delle aree depresse, “così realizzando un imponente arricchimento personale”.

L’odierna misura riguarda 9 imprese, operanti nel campo dell’assistenza fiscale, dell’assistenza agli anziani ed in quello immobiliare, 7 appartamenti, un fabbricato e 17 terreni situati nelle province di Messina e Palermo, nonché decine di rapporti finanziari per un valore omplessivo di circa 12 milioni di euro.

Il caso di Catania

Qualche settimana fa i Finanzieri del Comando Provinciale di Catania, sotto la direzione della Procura della Repubblica di Catania, hanno eseguito un decreto del Giudice per le indagini preliminari che dispone misure cautelari reali nei confronti di un soggetto indagato per i reati di bancarotta fraudolenta, bancarotta documentale e autoriciclaggio.

L’indagine

L’indagine, condotta dal Nucleo di Polizia Economico-Finanziaria di Catania, si concentra sul dissesto di una società catanese operante nel settore della produzione di software, dichiarata fallita dal Tribunale locale nel 2020. Le indagini avrebbero evidenziato che l’amministratore di diritto della società avrebbe attuato una serie di operazioni distrattive e dissipative del patrimonio aziendale, in una fase in cui la società stava accumulando ingenti debiti erariali e perdite significative.

Quote trasferite

Secondo le indagini, l’indagato avrebbe trasferito i principali asset della società fallita a favore di due nuove società in accomandita semplice (S.a.s.) mediante operazioni di conferimento di rami d’azienda. Le quote di queste nuove società sarebbero state inizialmente detenute dall’indagato per l’80% e dalla società fallita per il restante 20%. Tuttavia, queste operazioni avrebbero causato un decremento del patrimonio della società fallita di 815.000 euro, a fronte di una partecipazione al capitale minimale di 10.000 euro per ciascuna delle due S.a.s.. Successivamente, le quote delle S.a.s. possedute dalla società fallita sarebbero state cedute a un familiare dell’amministratore, rescindendo definitivamente i legami tra la società fallita e le due nuove società e dissimulando la provenienza illecita dei rami d’azienda. In questo modo, l’indagato avrebbe reimmesso nel circuito economico legale i rami d’azienda distratti, rendendosi responsabile di autoriciclaggio.

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