“Il giornalismo è stampa scritta in fretta, ma pensata per sempre”, diceva Arthur Miller. Mi piacerebbe davvero tanto che fosse così. La realtà però, caro Miller, oggi è che lo scriviamo in fretta, lo leggiamo ancora più in fretta e ci dimentichiamo di averlo letto prima di finire il caffè. Nel mare tumultuoso della società contemporanea, il giornalista dovrebbe essere l’ultimo baluardo della verità, ma ahimè, finisce più spesso come il primo a essere sbattuto fuori dalla porta della redazione quando arrivano gli sponsor.

Non è un mestiere per deboli di cuore, questo no. George Orwell lo aveva capito benissimo: “In un’epoca di inganni universali, dire la verità è un atto rivoluzionario”. E in effetti, dire la verità è quasi diventato uno sport estremo, con il giornalista che si trasforma in un moderno funambolo, camminando su una corda tesa fra l’idealismo e la bancarotta personale.

La stampa viene ancora definita il “quarto potere”, ma a ben vedere, oggi pare più il “quarto debito”. La crisi economica e la necessità di ingraziarsi questo o quel potente hanno trasformato molti giornalisti in autori di bollettini aziendali o, peggio, di manifesti elettorali camuffati. Ma Indro Montanelli ci aveva avvertiti: “Il giornalista non deve mai essere di sinistra, di destra o di centro. Deve solo essere dalla parte dei fatti”. Parole dure e chiare come il suo sigaro. Eppure, oggi il giornalista sembra essere un povero cronista intrappolato in un castello di carte in rovina, costretto a servire troppe cause, tranne quella della verità.

Albert Camus, dal canto suo, vedeva nel giornalismo una missione etica: “Una stampa libera può, ovviamente, essere buona o cattiva, ma senza libertà, la stampa non sarà mai altro che cattiva”. Una verità scomoda, che però fa sbadigliare più di qualcuno, soprattutto nelle sale di redazione, dove le preoccupazioni ruotano più attorno ai click che ai contenuti. La libertà di stampa? Beh, quella la trovi ancora, ma nei vecchi archivi polverosi. O, se proprio va bene, nei libri di storia.

Nonostante tutto, qualcuno ancora resiste. Ci sono quelli come Anna Politkovskaja, che hanno pagato il prezzo più alto per difendere il diritto di raccontare la verità. Loro ci ricordano che il giornalista dovrebbe essere un eroe tragico, e invece spesso si ritrova a interpretare il ruolo dell’eroe comico, cercando di salvare il salvabile tra una telefonata del capo e l’ennesima richiesta del marketing.

Ah, la dignità del mestiere! Ciò che Hannah Arendt definiva come la “sfera pubblica”, quel luogo sacro in cui l’informazione dovrebbe essere corretta, verificata, accessibile a tutti. Oggi, quella sfera è stata trasformata in un palloncino pubblicitario, gonfiato di falsità e pronto a scoppiare al primo contatto con la realtà. Ma il vero giornalista? Lui resiste. O almeno ci prova, finché qualcuno non gli fa notare che la verità non paga l’affitto.

Eppure, non dobbiamo cadere nel cinismo. Gabriel García Márquez amava dire che “il giornalismo è il miglior lavoro del mondo”. Certo, Gabriel, ma prova a dirlo a chi si ritrova a scrivere pezzi su come perdere peso in dieci giorni perché è il contenuto che “funziona meglio online”. Il giornalista dovrebbe essere un costruttore di storie, un interprete di quel caos che chiamiamo realtà. Ma oggi, è più probabile che venga trasformato in un compilatore di liste o in un commentatore di meme.

Ryszard Kapuściński ammoniva: “Per essere un buon giornalista, devi essere una brava persona”. Verissimo, ma oggi la lista dei requisiti include anche: saper usare i social media, conoscere almeno un algoritmo, e soprattutto avere un contratto a tempo indeterminato. Cosa? Il contratto? Ah, scusate, quello era un sogno.

Il giornalismo dovrebbe essere una vocazione, come diceva Honoré de Balzac, una “grande catapulta preparata per andare più lontano”. Eppure oggi sembra una fionda malandata, tesa tra la necessità di sopravvivere e la speranza di raccontare, ogni tanto, qualcosa che abbia un briciolo di verità.

E allora, come ci ricorda Joseph Pulitzer, “un giornalista è colui che può vedere nel buio”. Sì, certo, e con un po’ di fortuna, potrà anche pagare la bolletta della luce.

di Davide Romano

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